Tutti i modelli organizzativi richiedono la definizione di un organigramma che stabilisce struttura, funzioni e ruoli all’interno di un’azienda.
Spesso, però, l’organigramma viene vissuto come un dovere imposto dalle procedure e non come un’opportunità per riflettere sull’assetto organizzativo e sulla sua trasformazione in relazione all’evoluzione aziendale.
Non parliamo di teorie, bensì di questioni pratiche che spesso si presentano ai nostri occhi come alternative secche.
Gli aut-aut dell'organizzazione aziendale
È più efficace una struttura verticale e fortemente gerarchica o un modello orizzontale e collaborativo?
Essere al vertice significa esercitare un potere o assumersi delle responsabilità?
È più utile l’accentramento o la delega?
Bisogna puntare alla specializzazione o all’intercambiabilità dei ruoli?
Vanno privilegiate le funzioni di staff o quelle produttive?
Come si concilia l’importanza delle procedure con il valore della flessibilità?
Il ciclo di vita delle imprese
Abbiamo provato a dare risposta a queste domande, partendo dalla consapevolezza che le imprese sono organismi viventi: cambiano nel tempo, spesso in modo indipendente dalla nostra volontà, e cambia anche il contesto nel quale operano. Non per nulla si parla di ciclo di vita di un’impresa, in analogia con quello delle persone. Ogni fase dell’evoluzione aziendale chiede approcci e soluzioni diverse.
Nascita e sviluppo
Nei primi step – quelli della nascita e dello sviluppo – la creatività e l’energia dell’imprenditore prevalgono sulle esigenze di disciplina, strutturazione e definizione delle procedure. L’organigramma, che vede il fondatore al centro, è ancora poco articolato, prevede quasi esclusivamente funzioni di business (vendite, acquisti, produzione: la prima linea, quella che lavora sul campo) e non di staff, si caratterizza per una scarsa specializzazione che può arrivare fino all’intercambiabilità dei ruoli. All’occorrenza tutti fanno tutto, regna la flessibilità mentre è assente la burocrazia.
Crescita e maturità
Tra la crescita e la maturità ci si gioca il consolidamento di un’azienda. Questa fase si caratterizza per il passaggio da una leadership accentratrice a uno stile di gestione più condiviso, che presuppone da parte dell’imprenditore l’esercizio progressivo della delega. L’organigramma si struttura, i ruoli si specializzano e alle funzioni di business si affiancano funzioni di staff (pensiamo al controllo di gestione, alle risorse umane e più in generale a chi lavora dietro le quinte con compiti gestionali e organizzativi). L’azienda perde in flessibilità ma guadagna in stabilità, si definiscono processi e procedure che aiutano a migliorare i margini di redditività e le capacità di controllo sulla qualità.
Equilibrio tra il vecchio e il nuovo
Non tutto, però, è rose e fiori, anzi! Questa fase, infatti, si caratterizza per un equilibrio delicato tra il vecchio e il nuovo. Può capitare che l’imprenditore sia riluttante a delegare parte dei suoi compiti, che l’ingresso di figure esterne ad alta competenza in ruoli manageriali sia mal digerito, che prevalgano le esigenze della struttura su quelle delle singole persone, con il relativo malcontento di queste ultime. Tanto più rapida è stata la crescita di un’organizzazione, tanto più sono frequenti questi rischi.
Crisi e declino
La maturità di un’azienda, che pur coincide con il suo massimo sviluppo in termini di dimensioni e guadagni, porta spesso con sé ben nascosti i germi della crisi e della decadenza. Progressivamente l’energia propulsiva si affievolisce, la burocrazia ostacola i processi, la spinta all’innovazione si esaurisce perché viene meno la capacità di interpretare i segnali del mercato e i bisogni dei clienti. Si parla in questa fase di cristallizzazione e implosione.
Alla luce di questo rapido excursus sul ciclo di vita di un’azienda, è onesto dire che non esistono verità assolute, modelli universali o soluzioni valide per ogni stagione, tanto meno in materia di struttura aziendale, organigrammi o stili di leadership. Possiamo però cominciare a mettere qualche piccolo punto fermo.
Organigramma verticistico o collaborativo: un falso dilemma
In materia di organigramma, ad esempio, quella tra modelli gerarchici/verticistici e modelli orizzontali/collaborativi rischia di essere una falsa contrapposizione. È vero che negli ultimi anni si è assistito a una vera e propria moda per gli organigrammi orizzontali, quelli che eliminano i rapporti gerarchici e le figure dei top manager. Questa soluzione però è possibile soltanto all’interno di aziende fortemente organizzate e strutturate, dove ruoli, compiti e procedure sono definiti e rispettati in ogni dettaglio. L’esatto contrario, insomma, dell’anarchia.
Lo spiega bene questo articolo dell’Harvard Business Review, First, Let’s Fire All The Managers, che parla della più famosa tra le aziende che hanno rinunciato a manager e gerarchie interne: la californiana Morning Star Company, 400 dipendenti e 700 milioni di fatturato, che ne fanno il più grande produttore di succo di pomodoro al mondo! Qui ciascun dipendente è manager di sé stesso: una condizione che mette insieme la massima autonomia esecutiva e altrettanta capacità di coordinamento con i colleghi.
Il potere: tra responsabilità e fiducia
Che si scelga un modello orientato in senso gerarchico oppure un approccio più collaborativo, è fondamentale ricordare che una leadership efficace (anche nella gestione di piccoli team, non soltanto nella direzione dell’intera azienda) si fonda sull’assunzione e la condivisione delle responsabilità, non sull’esercizio del potere e dell’autorità. Prerequisito indispensabile, però, è un clima improntato alla fiducia reciproca, non alla logica del controllo o del sospetto. Dalla fiducia deriva anche l’attitudine alla delega, che non esclude però in assoluto il ritorno al decisionismo o all’accentramento se una situazione di crisi impone decisioni gravi e rapide.
I ruoli: competenze tecniche e competenze relazionali
Infine, rispetto ai ruoli aziendali, è giusto assegnarli in base all’esperienza e alle competenze tecniche delle persone, in un’ottica di differenziazione e specializzazione della struttura, senza però dimenticare l’importanza delle competenze relazionali che influiscono in modo determinante sul clima aziendale e sulle prospettive di crescita a lungo termine di un’impresa.
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