Sono state molte, anche tra le nostre piccole e medie imprese, le realtà che in questi mesi hanno sperimentato forme di smart working come risposta obbligata alle limitazioni imposte dal Covid.
Questo fenomeno può rappresentare una soluzione temporanea oppure una vera e propria rivoluzione per il mondo del lavoro. In ogni caso porta con sé una serie di riflessioni e di interrogativi, che proviamo a condividere.
Smart working, lavoro agile e lavoro a distanza: facciamo chiarezza
Le esperienze avviate nel contesto dell’emergenza sanitaria si possono davvero definire “lavoro intelligente”? Oppure ci si è limitati a lavorare da remoto, stando a casa?
L’espressione inglese smart working, lo ricordiamo, non si riferisce soltanto a modalità di lavoro flessibile rispetto ai luoghi e agli orari in cui si svolge ma prevede l’ausilio di strumenti tecnologici e organizzativi che ne migliorano la produttività e l’efficacia.
Spesso viene tradotto in italiano con il termine “lavoro agile”, introdotto e descritto nel nostro ordinamento dalla Legge 81/2017. Anche in questo caso si fa riferimento a modalità ibride, che prevedono dei giorni di presenza in azienda alternati a giorni di lavoro da remoto, a casa o in appositi spazi di co-working; inoltre si enfatizza la flessibilità degli orari e la necessità di utilizzare strumenti tecnologici e app non solo per comunicare ma anche per condividere e smaterializzare il lavoro.
Basterebbe forse questo a suggerire che quella sperimentata nei mesi scorsi sia stata in molti casi una forma rudimentale di lavoro a distanza, per niente flessibile, molto improvvisata, poco intelligente e non sempre efficace in termini di produttività, né per gli imprenditori né per i lavoratori.
Diamo un po' di numeri: prima, durante e dopo il lockdown
Anche per questo, forse, molte esperienze si sono interrotte, non appena si è allentato il lockdown.
A raccontarcelo, sono i numeri, a partire da una ricerca Istat uscita lo scorso giugno. Nei mesi immediatamente precedenti la crisi, in Italia, solo l’1,2% del personale era impiegato in forme di smart working o di lavoro a distanza; tra marzo e aprile questa quota è salita in un balzo all’8,8% per poi ridiscendere al 5,3% a partire da giugno, con una quota rilevante soprattutto nelle grandi e medie imprese, dove un quarto dei dipendenti ha mantenuto modalità di lavoro alternative alla presenza in sede.
A sperimentare modalità di smart working è stato il 90% delle grandi imprese italiane (quelle con più di 250 addetti) e il 73% delle imprese di dimensione media (50-249 addetti). La quota scende al 37% tra le piccole imprese (10-49 addetti) e al 18% nel caso delle microimprese (3-9 addetti). Una percentuale bassa ma non irrilevante.
Una rivoluzione nell’equilibrio tra vita e lavoro
Lavorare da casa può apparire in un primo momento comodo, nella misura in cui elimina il tempo perso negli spostamenti, ma porta comunque con sé una trasformazione del delicato equilibrio tra vita e lavoro. Lo conferma uno studio svolto da Atlassian, una multinazionale informatica che ha analizzato i dati di milioni di utenti dei suoi programmi di software collaborativo, usati per gestire le attività di gruppi di lavoro in tutto il mondo, Italia compresa.
A partire da marzo, quando la maggior parte degli utenti si è spostata dagli uffici aziendali a casa, l’analisi basata sull’utilizzo effettivo dei software ha fornito due evidenze quantitative. La prima è che gli orari di lavoro si sono mediamente allungati, con estensioni verso il tardo pomeriggio e la sera. La seconda è l’orientamento a lavorare più a lungo senza concedersi una vera e propria pausa.
Alcune interviste realizzate successivamente hanno confermato la tendenza a veder sfumare sempre di più i confini tra vita domestica e lavoro, con il rischio di non riuscire a staccare e di incorrere prima o poi in una sindrome da burnout, ovvero una forma profonda di stress lavorativo.
Effetto domino sull’economia, sulla società e sulle nostre città
Meno persone che si spostano per andare a lavorare significa meno traffico e meno inquinamento, di questo non possiamo che rallegrarci. Al tempo stesso la conversione allo smart working di molte aziende, soprattutto tra quelle di grandi dimensioni, può cambiare il volto di alcune città e di molti centri direzionali, con un’alterazione anche del valore immobiliare di case e uffici.
Sono destinati a cambiare però al tempo stesso anche i consumi: non solo chiudono bar o servizi di ristorazione e mensa attivi soprattutto in pausa pranzo (con le relative filiere di fornitura) ma qualcuno ipotizza delle ricadute anche nel settore dell’abbigliamento, come conseguenza di una minor attenzione a come ci si veste durante il giorno. Per i lavoratori di questi settori lo smart working rischia di essere più una sciagura che un’opportunità.
Lo smart working in Italia: diritti e doveri
Lo smart working non rappresenta una deroga né rispetto ai diritti e ai doveri dei lavoratori dipendenti, né rispetto agli obblighi dei datori di lavoro; semmai impone di precisare meglio alcuni aspetti delicati su cui deve essere fatta chiarezza anche a livello contrattuale. La normativa italiana, contenuta nella già citata Legge 81/2017, prevede tra gli altri una serie di punti che è bene ricordare. In particolare:
- chiede di definire con precisione in quale misura e modalità le prestazioni di lavoro possono essere eseguite fuori dell’azienda, con una conseguente programmazione temporale;
- stabilisce quali siano le forme di controllo lecite da parte del datore di lavoro sulle attività svolte in remoto;
- individua le condotte che possono dar luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari a carico del dipendente;
- l’indica la necessità di stabilire dei tempi di riposo del lavoratore e delle modalità tecniche ed organizzative per assicurare la sua “disconnessione” dagli strumenti di lavoro durante i riposi, proprio per evitare il rischio burnout;
- ribadisce l’obbligo per il datore di lavoro di tutelare la salute e la sicurezza del lavoratore ma sottolinea anche la necessità di auto responsabilizzazione del lavoratore stesso per quanto riguarda i rischi connessi all’ambiente domestico e ad altre situazioni sulle quali il datore non è in grado di esercitare alcun controllo.
Agevolazioni e incentivi: tra promesse e certezze da parte del Governo
Alla luce di queste considerazioni possiamo dire che l’adozione di forme di smart working in Italia richiede uno sforzo organizzativo e in alcuni casi anche tecnologico. Il Governo ha previsto degli incentivi nell’ambito della Legge di Bilancio, attualmente in discussione alle Camere: un credito d’imposta al 15% per investimenti in dispositivi tecnologici e strumentali, che si applica sia a macchinari e hardware, sia a software.
Gli investimenti devono collocarsi tra il 16 novembre 2020 e il 31 dicembre 2021, oppure entro il 30 giugno 2022 a condizione che l’ordine sia stato accettato dal cliente entro la fine del 2021 con il pagamento di un anticipo pari almeno al 20%. Soltanto l’approvazione definitiva della Finanziaria trasformerà però queste promesse in certezze.