Ogni giorno ciascuno di noi riceve una quantità enorme di informazioni, che passano soprattutto attraverso gli schermi. Parliamo di 34 gigabyte di dati che equivalgono a 100.000 parole: il testo che state leggendo ne contiene 262.
Questa massa di informazioni non è neutra, bensì orienta e condiziona le nostre scelte e le nostre azioni.
Riceviamo questi dati attraverso una molteplicità di strumenti, schermi e video, in forma digitale, spesso invasiva e sempre più frammentata: mail, chat, tweet, post sui social network, like, share, emoji e faccine varie. Raramente affrontiamo testi cartacei e ancora più di rado testi lunghi.
Siamo consapevoli di questo? Quali possono essere le conseguenze?
Troviamo una possibile risposta in un libro, uscito nel 2018, che si intitola “Lettore, vieni a casa. Il cervello che legge in un mondo digitale”. L’autrice è Maryanne Wolf, una neuroscienziata americana che ha dedicato la sua vita a studiare i meccanismi della lettura.
Imparando a leggere, ci spiega, sviluppiamo dei circuiti neuronali che non sono disponibili alla nascita. La lettura lenta e profonda, quella che si esercita sui testi cartacei, ci aiuta a sviluppare qualità umane fondamentali, come il pensiero critico, l’immaginazione creativa e l’empatia ovvero la capacità di assumere la prospettiva e le emozioni degli altri.
L’immersione esclusiva nel mondo digitale rischia ahimè di far scomparire queste attitudini, utili e necessarie nella vita e sul lavoro.
Vale dunque la pena riflettere su questo tema; non tanto per contrapporre la nostalgia del passato al presente, bensì, come dice Maryanne Wolf, per “integrare l’eredità della cultura analogica con l’innovazione digitale”.
E voi cosa ne pensate?