Se è vero che le aziende familiari sono la colonna portante dell’economia italiana, possiamo ben dire che Luca Marcolin ne è il guru.
Montebellunese, laurea in economia aziendale, Luca ha messo al servizio delle imprese di famiglia la sua esperienza manageriale ultraventennale in grandi organizzazioni.
Il suo approccio, che unisce passione, competenze tecniche trasversali e un robusto impianto teorico, è ben sintetizzato nel volume pubblicato pochi mesi fa: Family & Business: ottenere armonia e risultati nelle imprese di famiglia. Lettura densa e scorrevole al tempo stesso, che consigliamo a chiunque sia toccato da questo tema: in primis imprenditori e imprenditrici, i loro familiari e i loro dipendenti.
A Luca, che in Nicoletti & Associati conosciamo da tempo, abbiamo rivolto alcune domande: sulle sfide nella gestione delle imprese di famiglia, sull’integrazione tra famiglia e impresa e naturalmente sul passaggio generazionale, argomento cui spesso si riconduce in modo un po’ riduttivo qualsiasi approccio al tema del family business.
Luca, cominciamo a sradicare almeno tre stereotipi relativi alle imprese di famiglia: che questo modello d’impresa sia un retaggio del passato, che sia destinato progressivamente a sparire e che sia una caratteristica di aziende di piccole dimensioni.
No, non è un retaggio del passato. Ancora oggi la maggior parte delle aziende nasce su base familiare, perché l’imprenditore all’inizio cerca supporto materiale e sostegno morale nelle persone che più gli sono vicine; già questo ci fa capire che questo modello non sparirà mai.
È pur vero che le aziende poi, quando crescono, tendono spersonalizzarsi per assumere una gestione manageriale.
Questo però non significa che la famiglia non ci sia più, diventa soltanto meno visibile; pensiamo ad alcuni esempi attuali, che tutti conosciamo: come il legame tra la famiglia Berlusconi e Mediaset, Del Vecchio e Luxottica, Benetton e il gruppo omonimo.
Ultimo punto: la rilevanza del modello riconducibile all’impresa di famiglia in Italia è determinata in gran parte proprio dal fatto che nel nostro paese il tessuto economico è fatto di piccole e medie imprese; si tratta di realtà dove il legame tra azienda e famiglia fondatrice è ancora ben visibile e tangibile, a differenza di quel che accade nelle imprese più grandi.
Nel tuo libro parli di quattro sfide al cui interno si possono ritrovare tutti i problemi e gli ostacoli che le aziende di famiglia devono affrontare. La prima è la sfida verticale o intergenerazionale. Di cosa si tratta?
È la sfida relativa al passaggio di consegne tra generazioni, che peraltro riguarda tutte le aziende, anche quelle manageriali.
Nel caso delle aziende di famiglia risulta particolarmente delicata perché è carica di aspettative, da entrambe le parti: da un lato abbiamo i genitori, che rischiano di spingere i figli alla guida dell’azienda senza prima creare le condizioni perché questo avvenga nel migliore dei modi; dall’altro i figli, che talvolta pretendono di succedere ai genitori ma non è detto che siano in grado di farlo.
Tutto questo in un contesto culturale e giuridico che in Italia più che altrove premia e dà quasi per scontata, anche in ambito imprenditoriale, la successione all’interno della famiglia. Cosa legittima da un punto di vista patrimoniale ma non sempre efficace sotto l’aspetto della continuità d’impresa e dunque del bene dell’impresa stessa.
La seconda sfida è quella orizzontale, che ha a che fare con i rapporti intragenerazionali, ovvero quelli tra fratelli o tra cugini. In cosa consiste?
Riguarda la gestione di equilibri e conflitti quando la presenza familiare in azienda si allarga a fratelli e cugini, soprattutto con l’ingresso delle seconde e terze generazioni.
C’è il rischio che le gerarchie in azienda vengano modellate sulla falsariga di logiche e dinamiche familiari. Ne deriva, ad esempio, che il ruolo di amministratore delegato venga assegnato al primogenito o che i figli maschi vengono anteposti alle figlie femmine. Oppure, errore di segno opposto, prevale un malinteso senso di uguaglianza.
In entrambi i casi viene disatteso il principio del merito, l’unico che vale in azienda quando si tratta di definire le gerarchie e le responsabilità.
La terza sfida è quella strategica e anche questa coinvolge le generazioni successive a quella del fondatore…
Sì. Le aziende nascono spesso sulla base di un’intuizione o di un’opportunità che il fondatore sviluppa senza una strategia deliberata, in virtù della sua forza e della sua leadership.
Col tempo l’impresa cambia e anche il contesto di mercato in cui opera si trasforma, pensiamo solo a quello che è successo in questi ultimi anni: pandemia, crisi delle materie prime, guerra, transizione green, digitalizzazione. Occorre quindi rilanciare l’azione imprenditoriale, questa volta in maniera più consapevole, analitica e pianificata. A questo punto serve elaborare una strategia. Il problema è che spesso non c’è accordo tra parenti sulla strategia da scegliere, ognuno difende la propria.
La sfida dunque è quella di aiutare fratelli o cugini che hanno idee diverse sul futuro dell’azienda a confrontarsi civilmente, per allinearsi oppure altrettanto civilmente lasciarsi.
Arriviamo all’ultima sfida, quella organizzativa, che riguarda la strutturazione dell’azienda via via che cresce. Quali problemi pone?
All’inizio è facile: tutti fanno tutto. Poi, un po’ per volta, l’azienda cresce, si organizza per aree di responsabilità, definisce ruoli e competenze.
Come avviene questo processo? Se prevale una logica di appartenenza, in base alla quale le posizioni chiave vengono assegnate ai membri della famiglia, le potenziali conseguenze negative sono due: da un lato l’inadeguatezza di chi arriva a occupare posizioni manageriali senza averne le qualità, dall’altra la frustrazione di collaboratori storici o manager di recente inserimento che devono rassegnarsi a rimanere subalterni a chi fa parte della famiglia, figlio, fratello, moglie o cognato che sia.
Possiamo dire che, per il bene dell’azienda, la famiglia deve essere disposta anche a mettere in discussione le posizioni dei suoi membri nell’organizzazione.
Per affrontare queste sfide, hai elaborato un modello teorico che descrive, anche visivamente, le tensioni, le polarità, le spinte contrapposte che caratterizzano tanto la nostra vita come individui quanto la realtà delle organizzazioni, comprese le aziende familiari. Provi a descrivercelo?
Il modello nasce dall’incrocio tra due linee che, a loro volta, disegnano quattro quadranti. La linea orizzontale è quella del tempo, che congiunge due estremi opposti: a sinistra abbiamo la Continuità e il legame con il passato, a destra lo Sviluppo e la tensione verso il futuro. La linea verticale è quella dello spazio, qui agli estremi troviamo in basso l’Armonia interna, in alto la dimensione della realizzazione esterna, ovvero i Risultati.
Dalle linee, passiamo quindi ai quattro quadranti…
All’incrocio tra risultati e tensione verso il futuro si colloca il quadrante giallo dello Scopo. Rappresenta la spinta all’evoluzione e suo interno ha la forza della visione e della strategia ma porta con sé anche il rischio dell’instabilità e dell’insicurezza.
All’incrocio tra armonia interna e tensione verso il futuro troviamo il quadrante verde delle Persone. Comprende sia la dimensione emotiva individuale che gli aspetti di relazione tra i diversi individui, ha come focus il benessere e la qualità delle relazioni ma un suo eccesso rischia di creare organizzazioni troppo ripiegate su sé stesse a scapito dei risultati e delle relazioni con l’esterno.
All’incrocio tra armonia interna e continuità troviamo il quadrante blu dell’Organizzazione. Rappresenta la dimensione virtuosa dell’ordine, della struttura, dell’attenzione ai processi che però può degenerare in rigidità e burocrazia.
E infine all’incrocio tra continuità e risultati si colloca il quadrante rosso dei Numeri. Qui prevale, talvolta a scapito dell’attenzione per le persone e per le dinamiche relazionali, la dimensione razionale e operativa, la tensione all’azione e al fare concreto, la definizione e il raggiungimento di obiettivi nel breve termine
Mi sembra di capire che la salute di un’organizzazione si fonda sull’equilibrio tra questi quadranti.
Sì, è un equilibrio dinamico, un gioco di pesi e contrappesi. Ciascuno di noi, per inclinazione personale, può identificarsi maggiormente in un quadrante rispetto agli altri ma occorre avere consapevolezza che per il bene di un’azienda tutti i quadranti sono indispensabili e devono essere presidiati.
Spesso il ruolo del consulente è proprio quello di accompagnare l’azienda verso il raggiungimento di questo equilibrio. Quali sono gli strumenti che utilizza?
Nel nostro approccio dobbiamo avere la capacità di affrontare dinamiche relazionali delicate, senza però voler fare gli psicologi. Il nostro obiettivo infatti è quello di far evolvere le aziende da un punto di vista gestionale e organizzativo.
Per usare una metafora: mi piace immaginare il nostro ruolo più simile a quello dei fisioterapisti che non a quello dei chirurghi. Significa operare in una logica di prevenzione o almeno di riduzione del danno, non essere chiamati a un intervento d’emergenza per salvare la vita del paziente che, nel nostro caso, coincide con la continuità di un’azienda e il benessere delle persone che ci lavorano.
Il tema delle imprese di famiglia vi interessa o vi coinvolge personalmente?
Vi ricordiamo il titolo del volume di Luca Marcolin: Family & Business: ottenere armonia e risultati nelle imprese di famiglia.
Vi segnaliamo il sito del suo network di consulenti: Family Business Unit.
E infine vi invitiamo ad ascoltare i podcast dei suoi interventi su Spreaker.