Quando abbiamo parlato di negoziazione (nell’Arte di ottenere un sì, una bella intervista con Andrea Campagnolo), abbiamo detto che il presupposto per raggiungere un accordo è riconoscere l’esistenza di un conflitto.
Operazione non sempre così semplice, perché nel concreto delle nostre relazioni – ad esempio in famiglia, sul lavoro o nella società – il conflitto si manifesta attraverso uno spettro di intensità che può variare dal quasi impercettibile al tragico. A seconda dell’intensità cambiano le modalità con cui si presenta e, soprattutto, le tecniche per gestirlo e disinnescarlo.
Tra i molti che hanno provato a descrivere l’evoluzione dei conflitti, uno dei più famosi è lo studioso austriaco Friedrich Glasl. Il suo schema scandisce 9 fasi: si parte dalle prime innocue tensioni per finire nell’abisso che inghiotte entrambi i contendenti.
Non a caso il suo approccio è noto anche come modello dell’escalation conflittuale, perché descrive l’evoluzione di un conflitto come se fosse un fenomeno naturale che obbedisce alle proprie leggi interne prima ancora che alla volontà dei contendenti.
Conoscete già lo schema di Glasl? Avete idea delle sue implicazioni in materia di risoluzione dei conflitti? Proviamo a scoprirle insieme.
Prevenire il conflitto? È impossibile!
Prima di approfondire il modello, è necessaria una premessa. Abbiamo detto che è importante riconoscere l’esistenza di un conflitto, quando è in atto. Ancora più importante, forse, è ammettere che il conflitto in sé è inevitabile e fisiologico quando si verificano queste tre condizioni:
- dei rapporti di relazione (tra persone, organizzazioni, stati)
- un’interdipendenza tra i soggetti che si trovano in relazione
- una diversità di opinioni e sensibilità, ancor prima che di interessi, tra questi soggetti.
Una prevenzione radicale del conflitto potrebbe dunque avvenire solo attraverso l’isolamento e l’omologazione, eventualità che nessuno di noi si augura, né come individuo né come società.
Se il conflitto è inevitabile, l’unica possibilità è risolverlo o almeno contenerlo, per questo è necessario conoscerlo.
Il modello di Glasl è efficace per la sua semplicità. Si articola in nove livelli che si possono raggruppare a tre a tre: una vera e propria scala o forse un piano inclinato dove la velocità di percorrenza aumenta man mano che si scende, rendendo sempre più difficile fermarsi.
I primi tre livelli: scenario win-win
Ogni conflitto ha un’origine specifica e concreta, per quanto all’apparenza banale e irrilevante. Un diverbio tra marito e moglie sulla meta di una vacanza, un malinteso con il vicino per il posto macchina, un qui pro quo con il collega sulla gestione di una procedura, una disputa con un socio d’affari.
All’inizio c’è soltanto tensione (fase 1), un fastidio quasi impalpabile, spesso inespresso, non sempre riconosciuto. Poi la tensione si trasforma in polemica, prende forma di parola, in un dialogo che non sempre è costruttivo (fase 2). Cresce la frustrazione, aumenta il divario tra i contendenti e dalle parole si passa alle azioni: la vacanza tra marito e moglie salta, si toglie il saluto al vicino, si ignora il collega (fase 3).
La situazione degenera ma non è ancora compromessa. Il conflitto è ancora legato all’oggetto del contendere. Entrambe le parti possono ancora uscirne e, soprattutto, uscirne bene.
I secondi tre livelli: scenario win-lose
Man mano che ci si allontana dall’origine, la causa scatenante perde d’importanza. Non si lotta più per qualcosa ma contro qualcuno che incarna il male, l’avversario. E in questa lotta tutto vale: la ricerca di alleanze (fase 4), il discredito dell’avversario (fase 5), le minacce e gli ultimatum (fase 6).
Ciascuno dei due contendenti ha in mente una sola cosa: la vittoria sull’altro. È il momento della sopraffazione, basta un passo, un piccolo passo per perdere totalmente il controllo degli eventi.
Gli ultimi tre livelli: scenario lose-lose
Quando anche quest’ultimo passo è compiuto, si entra in uno scenario lose-lose. Gli ultimi tre gradini dell’escalation sono micidiali e spesso vengono affrontati con un furore quasi agonistico. Si parte dalla concretizzazione delle minacce con attacchi prima circostanziati (fase 7), poi a tutto campo (fase 8) e si arriva al punto in cui pur di annientare il nemico si è disposti a distruggere anche sé stessi (fase 9). A questo punto la discesa verso l’abisso è compiuta.
Vittime incolpevoli di questa furia distruttiva sono anche le cose preziose che condividiamo con l’avversario: i figli (nel caso di un conflitto tra marito e moglie), l’azienda (nel caso di uno scontro tra soci).
Cosa possiamo imparare dal modello di Glasl
Come tutti i modelli, anche lo schema di Glasl è una semplificazione e ha i suoi limiti.
Non ci dice nulla sulla velocità con cui i conflitti evolvono. Ipotizza un andamento lineare e progressivo, mentre spesso accade che i conflitti oscillino a lungo tra una fase e l’altra con momenti di tregua e ricadute. Dà per scontato un comportamento speculare da parte dei due contendenti, mentre è frequente che uno acceleri e l’altro tenti disperatamente di frenare.
Però da questa semplificazione possiamo ricavare almeno tre insegnamenti. Primo: dovremmo fare di tutto per affrontare e risolvere i conflitti quando sono piccoli e circoscritti. Secondo: il rispetto dell’avversario. È ben difficile ricucire una relazione quando abbiamo fatto perdere la faccia a qualcuno o qualcuno l’ha fatta perdere a noi. Terzo: arriva un momento in un conflitto, più o meno all’altezza del terzo gradino della scala di Glasl (quando si passa dalle parole alle azioni), in cui è saggio ricorrere alla mediazione di qualcuno che sia neutro rispetto ad entrambi i contendenti.
Se il conflitto è all’interno della vostra organizzazione, affidarsi a Nicoletti & Associati può essere la soluzione giusta!