Parliamo di sostenibilità. Fino a qualche tempo fa questa parola sembrava designare soprattutto uno strumento di marketing, utile per rivolgersi a una fascia di consumatori particolarmente sensibili alla salvaguardia dell’ambiente.
Oggi invece è diventata il cardine attorno al quale ruotano le politiche di rilancio economico post Covid dei paesi europei.
Il ruolo della sostenibilità nel PNRR
A partire dall’Italia, che dei 222 miliardi di euro di investimenti del cosiddetto Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ne destina ben 100 a questo ambito, declinato in due filoni: Rivoluzione Verde e Transizione Ecologica (68,6 miliardi di euro previsti) e Infrastrutture per una mobilità sostenibile (31,4 miliardi previsti).
Il tema della sostenibilità, in questa sua nuova dimensione, diventa centrale e vincolante.
Cosa comporta per le nostre imprese? Proviamo a spiegarvelo attraverso dieci concetti chiave, cominciando proprio con la ridefinizione della parola sostenibilità.
1. Sostenibilità
Oggi sostenibilità significa saper coniugare la crescita economica con la salvaguardia delle risorse e delle condizioni di vivibilità del nostro pianeta anche per le generazioni future.
2. Transizione ecologica
La sostenibilità non comporta, dunque, né l’adesione al mito della decrescita, né il sacrificio delle ragioni dell’impresa di fronte all’ideologia green. Consiste invece in un processo di transizione ecologica fondato sull’innovazione tecnologica dei processi produttivi.
3. Economia circolare
Fondamentale in questa transizione è il passaggio da un modello di economia lineare a un’economia circolare.
L’economia lineare si basa sulla sequenza produzione-consumo-smaltimento, utilizza materie prime e risorse naturali come se fossero infinite e non si preoccupa di riempire, così facendo, il mondo di rifiuti.
L’economia circolare sposta invece l’attenzione sulla possibilità di riutilizzare, rinnovare e riciclare materiali e prodotti già esistenti. Qualsiasi oggetto, una volta dismesso, può essere trasformato in una nuova risorsa, a patto che sia stato pensato fin dall’inizio in un’ottica di eco-design.
4. Eco-design
L’eco-design ripensa i processi produttivi e i prodotti sulla base di questi principi:
- migliore efficienza nell’utilizzo delle risorse materiali e dell’energia
- riduzione degli impatti ambientali (in termini di produzione di rifiuti/emissioni/reflui) in fase di produzione e di fine vita di un prodotto
- durabilità dei prodotti
- utilizzo di materiali più rispettosi della salute umana
- utilizzo di materiali bio-based
- utilizzo di materie prime-seconde (ottenute da scarti di produzione e da prodotti a fine vita) in sostituzione di materie prime “tradizionali”
- predilezione per filiere corte di approvvigionamento di materie prime
- possibilità di riuso dei materiali anche dopo la conclusione della vita utile del prodotto.
5. Life Cycle Thinking
Occorre, dunque, guardare ai processi produttivi con un approccio, sintetizzato nell’espressione Life Cycle Thinking, che abbraccia l’intero ciclo di vita del prodotto: dalla culla alla tomba o, meglio ancora, dalla culla alla sua rinascita.
Lo strumento operativo del Life Cycle Thinking è il Life Cycle Assessment.
Si tratta di un metodo di analisi che calcola l’impatto ambientale associato all’intero ciclo di vita di un prodotto: dalle fasi di estrazione delle materie prime, attraverso la produzione, la distribuzione e l’uso, fino alla dismissione finale.
Il valore d’impatto (o impronta ambientale) viene rappresentato attraverso una serie di indicatori; primi fra tutti: le emissioni di gas serra e il consumo idrico.
6. Carbon footprint
I gas ad effetto serra sono i principali responsabili del riscaldamento globale.
La carbon footprint (o impronta di carbonio) prende in considerazione il totale dei gas ad effetto serra associati, direttamente o indirettamente, al ciclo di vita di un prodotto. Misura le emissioni di anidride carbonica (CO2), metano (CH4), protossido d’azoto (N2O), idrofluorocarburi (HFCs), esafluoruro di zolfo (SF6) e perfluorocarburi (PFCs) e le traduce in tonnellate di CO2 equivalente.
Le tonnellate di CO2 equivalente permettono di esprimere l’effetto serra prodotto da questi gas in riferimento all’effetto serra prodotto dalla CO2, considerando quest’ultimo pari a 1 (ad esempio: il metano ha un potenziale serra 25 volte superiore rispetto alla CO2, e per questo una tonnellata di metano viene contabilizzata come 25 tonnellate di CO2 equivalente).
Certificazione e reporting della carbon footprint di prodotto possono essere fatti secondo la norma ISO 14067:2018.
7. Crediti di carbonio
Possiamo dire che emettere gas serra nei processi produttivi significa contrarre un debito nei confronti del pianeta. Piantare o conservare foreste in grado di assorbire CO2 significa invece generare un credito.
Le aziende, oltre a ridurre la loro carbon footprint, possono compensare la produzione di gas serra durante il processo produttivo acquistando crediti di carbonio, ovvero finanziando progetti di riforestazione o protezione delle foreste.
Esiste a livello mondiale un vero e proprio mercato dei carbon credits che però sembra insufficiente a compensare le emissioni delle aziende più inquinanti, come ha spiegato nei giorni scorsi Milena Gabanelli in questo articolo.
8. Tassonomia verde
Nel 2020 l’Unione Europea ha approvato il Regolamento 852/2020 sulla Tassonomia verde (o tassonomia finanziaria). Si tratta di un vero e proprio strumento per la classificazione delle attività economiche secondo criteri di sostenibilità ambientale, che dovrebbe andare in vigore a partire dalla fine del 2021.
Il rispetto di questi criteri e l’ottenimento da parte delle aziende di un’etichetta “verde” potrebbe diventare indispensabile per accedere a una parte dei finanziamenti privati o a fondi pubblici.
9. Tutela dei lavoratori
Come si pongono sostenibilità e transizione ecologica in relazione al tema dei diritti?
La grande enfasi sulla svolta green sembra aver lasciato più in ombra nel dibattito pubblico le questioni relative alla tutela dei lavoratori e al miglioramento delle loro condizioni di lavoro, almeno per ora.
Proprio per questo vale la pena ricordare l’esistenza e l’importanza del percorso di certificazione B-Corp, l’unico a prendere in considerazione equamente quattro pilastri nella valutazione dell’impatto di un’azienda: governance, comunità, tutela dei dipendenti e salvaguardia dell’ambiente.
10. Bilancio di sostenibilità
Tutte le attività, le misurazioni e gli indicatori di cui abbiamo parlato rientrano a pieno titolo nel Bilancio di sostenibilità di un’azienda. Oggi la redazione di questo documento è obbligatoria solo per una nicchia di grandi aziende di interesse pubblico, con oltre 500 dipendenti e altri requisiti patrimoniali… le cose però sono destinate a cambiare.
Il 21 aprile 2021 la Commissione Europea ha pubblicato una proposta di direttiva sul reporting di sostenibilità (la Corporate Sustainability Reporting Directive-CSRD) che amplia la platea di aziende soggette a questo obbligo a partire dal 2026 (con dati riferiti all’annualità 2024). In questa stessa direttiva si parla più volte anche di rendicontazione della supply chain. Significa che le grandi aziende dovranno includere nel proprio bilancio di sostenibilità i fornitori e questo potrebbe portare ad una sorta di obbligo indiretto per le realtà più piccole appartenenti alla filiera.
Un ulteriore elemento a favore di una più ampia diffusione del Bilancio di sostenibilità ha a che fare con i fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Il legislatore, infatti, ha invitato le stazioni appaltanti a prevedere criteri premiali nell’aggiudicazione dei bandi per i soggetti che presenteranno rendicontazioni incentrate sulle attività aziendali a favore dell’ambiente e delle persone.